marinofantuzzi


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Prime Pagine del romanzo

Cap 1

Seduto sulla sua vecchia poltrona di cuoio, ormai consumata dal tempo, Luca cercava di riposare dopo una lunga giornata di lavoro.
In mano un calice di buon vino, la camicia sbottonata gli dava la sensazione di respirare meglio.
La sua schiena si faceva massaggiare da quel vecchio cuoio marrone, il fuoco del camino di fronte rifletteva nella stanza un caldo rosso, surreale; chiuse gli occhi e sentì il calore entrargli dentro il corpo.
Luca faceva un lavoro che lo riempiva di soddisfazioni, di gioia e di emozioni, era un archeologo di quarant'anni, capelli corti, occhi di un nocciola profondo,era alto un metro e ottanta, i primi segni dell'età sul viso e sulle mani, ma uno spirito e una voglia di fare che non avevano niente da condividere con i suoi anni.
Sempre pronto a buttarsi in qualsiasi impresa, tenace, a volte trascorreva anche mesi interi senza ritornare a casa, pur di seguire dove il suo lavoro, in quel momento l'avrebbe portato.
Scapolo per scelta, anche perché il lavoro che svolgeva e i relativi spostamenti comportavano molti sacrifici. Luca aveva un piccolo partner, un cane cui era molto affezionato e che portava sempre con sé, era un incrocio tra uno shitzu e un pechinese, il pelo completamente nero, le zampine bianche, gli occhi grandi e scuri, un musetto davvero simpatico, di nome Chicco.
Faceva parte della squadra, diceva Luca ai suoi colleghi, una vera macchina da esploratore, molto più intuitivo di un metal detector, con la sua zampa e il suo odorato, a volte, risolveva velocemente problemi anticipando così il padrone.
Lui stesso ne andava molto fiero.
Le pareti della stanza erano, in parte, ricoperte dalle fotografie dei suoi ritrovamenti archeologici e dalle decine di articoli che la carta stampata gli dedicava, per la sua famiglia era come averlo a casa quando lui era lontano.
I genitori, entrambi in pensione, avevano una modesta casa con un discreto appezzamento di terra dove il padre di Luca, Neo, trascorreva buona parte della giornata, tra le sue vigne e i suoi ortaggi.
Mamma Tiziana era la classica donna tuttofare, si alzava presto la mattina con le idee chiare su cosa doveva fare per la famiglia e per gli animali domestici che, nella stalla, richiedevano buona parte del suo tempo e della sua fatica.
Luca era un archeologo specializzato nella ricerca, con competenze che spaziavano in vari settori, e veniva richiesto sia in Italia, dove viveva, sia in Europa.
All'età di cinque anni, mentre giocava con suo fratello Mattia di tre anni più grande, nell'appezzamento di terra dei suoi genitori, scoprì alcune monete, che risalivano al periodo Romano, quasi completamente intatte, beccheggiate dai segni del tempo ma ancora belle da vedere, e quello fu il suo tesoro per tanto tempo. Le teneva nascoste sotto il suo letto in un piccolo forziere di latta, Mattia per paura che il forziere fosse rubato, collocava tutti i soldatini con cui giocavano attorno al perimetro della scatola pronti a "far fuoco" se si fosse avvicinato un qualsiasi ladro.
Cristina, la sorella maggiore scuoteva la testa, ma comprendeva come, nella loro innocenza, fosse veramente un grande tesoro.
Per Mattia si trattava di un semplice gioco, ma per Luca diventò ispirazione della sua vita; capì l'importanza dello studio, infatti a scuola ottenne il massimo dei voti e " obbligava", a volte, i genitori a guardare documentari sull'argomento. In quel periodo, avere una televisione in casa era un lusso, ma per i familiari di Luca era praticamente impossibile guardare altro.
Neo e Tiziana sbuffavano, ma inutilmente, alla fine la spuntava sempre lui, lunghi musi di protesta facevano crollare qualsiasi volontà.
La voglia di capire, la sete di sapere quanto e come il mondo e l'uomo si fossero evoluti, erano forti nella volontà di colui che, all'epoca, era ancora un bambino.
Documentari in bianco e nero.
Nella testa di Luca, rendevano ancora, molto più alto l'interesse di trovare il colore nelle cose: tanta caparbietà, nata così presto, lo porto ad essere uno dei più grandi studiosi d'Europa.
Il tepore della fiamma aveva addormentato i sensi di Luca, ma lo svegliò un piccolo gesto che lui amava tanto, era la carezza della sua mamma che piano, piano, per non svegliarlo, si era accostato a lui senza farsi sentire, è sempre stata così, nella sua dolcezza, continuava ad accarezzarlo come se quel bambino di quarant'anni fosse ancora il "suo piccolo bambino".
Quel bacio sulla fronte destò Luca e la soddisfazione di quel piccolo gesto era tale da far dimenticare tutta la stanchezza della giornata.
Suo padre, sull'uscio della porta disse:
" Sei fuori da otto giorni, avresti potuto avvisare che saresti arrivato!".
Senza aggiungere altro si avvicinò con l'espressione corrucciata ma, felice di vedere suo figlio, lo baciò con un forte abbraccio.
Sembrava che si fossero messi d'accordo perché, nel giro di qualche minuto, arrivarono anche Mattia e Cristina.
Chicco, impaziente dalla gioia, scodinzolava come un matto, capiva benissimo, lo sentiva, che in quella stanza l'amore e la felicità stavano prendendo il sopravvento.
" Mi dovete scusare, ma ero talmente stanco che non vedevo l'ora di arrivare a casa". Disse Luca.
Cristina gli strinse tra le dita il naso e lo stropicciò, come faceva sempre.
Mattia alzò la mano e corse verso il fratello, sembrava felice, anche il fuoco la legna secca scoppiettavano creando scintille a non finire.
Quel tenero sole che entrava dalle finestre era sparito, le luci del paese lontano s'accendevano come le luci di un presepe a Natale.
Luca guardò l'orologio e si accorse che erano già le venti.
" Potremmo mangiarci una pizza, sapete, sono giorni che consumo panini e sinceramente ho una gran voglia di pizza", disse.
Non fece in tempo a finire la frase che Cristina era già al telefono per contattare una pizzeria vicina.
Stretti in cinque in una Fiat Panda, Chicco che abbaiava nel cortile al rombo della macchina, partirono alla volta del paese.
La loro casa era situata in campagna, in mezzo al verde, Luca amava quel verde perché lo faceva sentire tranquillo, coccolato dai campi della sua gioventù, dai quei colori in cui era nato e cresciuto, dove cercava di tornare a vivere quando non lavorava.
Anche se il manto della notte, accompagnato da nuvole di un nero intenso e profondo, scendeva su quello scenario, lui continuava a vederlo a colori.
Era una persona nata nel periodo del bianco e nero, ma sapeva quanto fossero importanti i colori nella vita; le chiacchiere presero, comunque il sopravvento sui suoi pensieri.
Si discusse durante tutto il percorso, come se fossero anni che non s'incontravano, quando, una frenata un po' brusca fece capire che erano arrivati a destinazione.
Il locale un po'insolito, e di primo acchito poteva anche incutere timore per il nome "Il lupo solitario", ma vi si mangiavano delle pizze squisite.
Il gestore era un amico di Luca, e ogni volta che tornava gli riempiva la testa di domande, voleva sapere sempre su cosa stesse lavorando, era molto incuriosito ed ammirava Luca per le scoperte che regalava al mondo.
Come tutti i gestori di quella zona, era un buontempone, sempre vestito di bianco, più che un lupo solitario pareva un fantasma.
Antonio, il proprietario, appena lo vide gli andò incontro con un sorriso ed un abbraccio, e dopo i saluti convenzionali si voltò verso uno dei camerieri e gli ordinò:
"Apparecchia per cinque nel solito angolo in fondo a destra".
Andrea, uno dei camerieri, molto giovane, sicuramente era da poco in quel contesto, partì di volata per accontentare la richiesta fatta.
La scelta dell'angolo era storica, a Luca piaceva perché fin da ragazzo, quando veniva con gli amici ogni domenica al ristorante, insieme riempivano di risate l'ampia sala, molto semplice e lineare, con quadri raffiguranti vari tipi di paesaggi e ritratti di persone anziane.
Vi era un enorme camino, anche se l'inverno stava per finire era sempre acceso.
I mobili, sicuramente un'imitazione Luigi XVI, avevano un uso pratico, mentre i tavoli e le sedie, di legno massiccio, erano talmente pesanti che diventava un'impresa spostarli.



Cap 2

Roma.
Nell'ufficio meteorologico della regione si accorsero subito che tutta quella macchia bianca che vedevano nello schermo sarebbe potuta diventare un grosso problema.
Il ragazzo regolava i monitor con determinazione, premeva i tasti del computer sempre con maggior tensione, cominciò a sudare, si girò di scatto sulla sedia a rotelle, prese un microfono e cominciò a parlare, nel frattempo bacchettava la sua matita sullo schermo in prossimità della macchia bianca.
Passarono due minuti, il ragazzo udì aprire la porta di cristallo dietro di lui: Era il direttore del centro meteorologico della stazione, un uomo molto alto, sulla cinquantina, all'apparenza molto deciso, col viso segnato dal tempo. A grandi passi gli si accostò, si mise a guardare i monitor nervosamente, quindi iniziò a tamburellare, ad un ritmo sfrenato, sulla tastiera di un altro computer.
"Allora, se calcoliamo lo spostamento, … con la rotazione, … l'intensità …….". diceva. a voce
alta, visibilmente scosso. Il ragazzo gli fece notare la dimensione di quella macchia bianca:
si era estesa nel giro di pochi minuti, copriva una vasta fetta dell'Italia, la parte più densa era centrale e avvolgeva interamante l'Emilia Romagna. Aveva una forma a spicchio d'arancia, la foto stampata, come l'immagine video, dava l'idea di una luna.
Il direttore aspettò, con ansia, che il computer elaborasse i dati.
" Non è possibile, è una cosa inspiegabile, non mi era mai capitato di vedere una cosa così !"disse il direttore.
" Non capisco, direttore, è apparsa dal niente e ora… con una costante sempre continua sta crescendo" aggiunse il ragazzo.
" Strano, molto strano, proviamo a ricercare nel nostro data Base un precedente fenomeno simile a questo", rispose il direttore, rimboccandosi le maniche del camice, si sedette ad una scrivania e cominciò a pensare a una risposta.
"Allora, direttore, cerchiamo di capire da dove è partita, e dove andrà a scaricarsi". iniziò il ragazzo.
" Iniziamo pure da qualche parte, credo sarà una serata molto lunga, mi porti un caffè, se non le dispiace", chiese il direttore.
" Sono 22 anni che lavoro qui, non ho mai visto cose simili", continuava a ripetere il ragazzo, mentre si avvicinava alla macchina del caffè.
" Quello che mi stupisce è la rapidità con la quale si è formata questa grossa perturbazione che coprirà buona parte della Emilia Romagna e le regioni a nord e a sud di essa. Bisogna allertare la regione e gli enti di protezione, telefonate e passatemi urgentemente l'ufficio del ministro, subito!", tuonò il direttore.
" Forse meglio che mi prenda un caffè doppio", pensò il ragazzo, sobbalzando all'urlo.
La macchina del caffè era in fondo al corridoio, in un angolo molto tranquillo e silenzioso, il ragazzo non pensava ad altro che a quella nebulosa, prima di inserire i soldi nella fessura si appoggiò con le due mani alla macchina, la testa rivolta verso il pavimento; i suoi pensieri erano tanti, ad un certo punto, fece un grosso respiro, chiuse gli occhi per un attimo, e si stirò la schiena all'indietro.


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